REPUBBLICA CENTRAFRICANA
La Repubblica Centrafricana presenta condizioni fra le più difficili nel continente africano e sconta le ricorrenti crisi socio-politiche e militari che hanno interessato il Paese negli ultimi vent’anni, da ultimo il colpo di Stato del marzo 2013. Le crisi politiche e militari ricorrenti non facilitano la situazione economica e sociale del Paese. Le cause di questi problemi sono da ricercarsi, oltre che nella cronica instabilità politica del Paese, anche nella mancanza di infrastrutture e di uno sbocco al mare.
D’altra parte la RCA è un Paese ricco di risorse naturali. Il suo territorio abbonda di foreste mentre il suo sottosuolo è ricco di diamanti (la cui più importante zona di estrazione è Bria, città di 30.000 abitanti nel centro del paese), oro (il cui centro estrattivo è la città di Barbari a 300km da Bangui) e petrolio, anche se quest’ultimo non viene estratto. I tre prodotti agricoli di esportazione sono cotone, caffè e il legname, quest’ultimo valendo da solo nel triennio 2007-2010 il 54% delle esportazioni nazionali.
La produzione annua di diamanti si aggira intorno ai 450.000 carati. Si ritiene però che la produzione reale sia pari a circa il doppio, dal momento che una gran parte del materiale estratto viene contrabbandato fuori dal Paese. Il potenziale estrattivo del petrolio è risultato elevato, ma non ancora sfruttato.
La RCA è formalmente aperta agli investimenti esteri, che tuttavia non sono favoriti – oltre che dall’instabilità politica – anche dalla corruzione ed estrema inefficienza dell’Amministrazione pubblica e dalla eccessiva burocrazia. Per tali ragioni, la classifica stilata dalla Banca Mondiale (Doing Business Report 2013), annovera la RCA all’ultimo posto in 185° posizione su 185 Paesi esaminati.
La collettività italiana presente in RCA ammonta a circa 180 connazionali, buona parte della quale è rappresentata da religiosi e missionari, residenti nella capitale Bangui ed in località periferiche, dove svolgono un importantissimo ruolo nel campo dell’assistenza sociale, oltre che nell’apostolato (la comunità italiana è, fra le comunità europee, la seconda per numero nel Paese, seconda solamente a quella francese). Inoltre sono presenti membri di ONG (COOPI, EMERGENCY) e volontari laici.
Non vi sono imprese italiane operanti nel Paese.
GUINEA EQUATORIALE
La Guinea Equatoriale è ricca di risorse minerarie, quali oro, gas naturale e petrolio. L’oro nero ha presto polarizzato l’economia del Paese, che è diventato il terzo produttore di greggio in Africa sub-sahariana, dopo Nigeria ed Angola: con 600.000 barili al giorno e con oltre 1,5 miliardi di barili di riserve certificate a disposizione, il Paese merita il titolo di “Kuwait africano”. Nel decennio 2001-2011, il petrolio ha costituito tra il 92 ed il 93% delle esportazioni annue del paese.
L’agricoltura costituisce il 3% del PIL ed è limitata a due soli prodotti di esportazione:il legno ed il cacao. L’inflazione si è mantenuta nel trennio 2009-2011 attorno al 7%.
Peraltro, sulla base dell’ultima classifica stilata dalla Banca Mondiale (Doing Business Report 2013), la Guinea Equatoriale figura tra i Paesi più difficili, in 162° posizione (su 185 Paesi). I punti deboli restano legati alla forte burocrazia e pratiche di corruzione diffusa.
Gli introiti petroliferi hanno permesso un rapido sviluppo delle infrastrutture e del settore delle costruzioni a Malabo, Bata, ma anche Mongomo e Oyala, la nuova ‘Brasilia’ equato-guineana che sta sorgendo dal nulla in mezzo alla foresta equatoriale, a meta’ strada tra Mongomo e Bata. La futura città è costata l’abbattimento di 32mila ettari di foresta vergine e consiste in un progetto architettonico a tre poli: un complesso internazionale turistico e affari (appaltato alla società italiana Piccini), una sede universitaria ed un polo industriale, che sta attirando ditte francesi, spagnole, brasiliane, turche, belghe e libanesi per le infrastrutture e le costruzioni.
Le principali esportazioni della Guinea equatoriale sono costituite dal petrolio, gas naturale e legname, mentre le importazioni riguardano attrezzature destinate al settore petrolifero e materiale da costruzione, provenienti da Cina, Spagna, USA, Francia, Regno Unito e dall’Italia. Gli USA sono il principale mercato di sbocco per le esportazioni della Guinea Equatoriale, seguiti dalla Spagna.
Date le cospicue importazioni di petrolio, l’Italia presenta un disavanzo strutturale nei confronti della Guinea Equatoriale. L’Italia è il quarto cliente della Guinea Equatoriale (compriamo petrolio, gas naturale, legno, sughero). Le esportazioni italiane appaiono in continua crescita dal 2009 e sono rappresentate da macchinari, prodotti tecnologici, materiale elettrico, autoveicoli, combustibili raffinati, mobili. L’Italia è al quarto posto tra i paesi clienti e al settimo posto tra i paesi fornitori (fonte: ICE su dati del Direction of Trade Statistics – DOTS del FMI) della Guinea Equatoriale.
La presenza italiana è per il momento limitata a poche imprese attive nel settore edile (Makinen, Piccini, BKP/Gesco, General Work). Interessanti opportunità potrebbero emergere nei settori della pesca, costruzioni, e ammodernamento dei servizi pubblici. Le grandi commesse pubbliche restano uno dei settori piu’ interessanti oltre a quello dei beni strumentali, logistica e tecnologie applicate ai processi di estrazione del petrolio.
Non esiste tra Italia e Guinea Equatoriale un Accordo per la Promozione e la Protezione degli Investimenti.
Oltre alla SCHEDA PAESE CAMERUN, che trovate nel link qui sopra, questa Ambasciata è competente per i rapporti economici anche su altri 3 paesi di accreditamento secondario (Ciad, Rep. Centrafricana, Guinea Equatoriale) che trovate qui sotto.
SCHEDA COMMERCIALE CIAD
Con una popolazione stimata di 10 milioni di abitanti nel luglio 2011 e un reddito pro-capite annuo di circa 700 US$, il Ciad ha conosciuto negli ultimi anni un miglioramento della sicurezza nel Paese, l’aumento della produzione di petrolio ed importanti investimenti nel campo delle opere pubbliche.
L’economia del Ciad è principalmente agricola ed è stata lungamente penalizzata dalle povere vie di comunicazioni interne, l’assenza di importanti bacini idrici e dalla ricorrente siccità che interessa gran parte del territorio. Il fenomeno della desertificazione è del pari allarmante, per una popolazione quasi interamente dedita ad attività di sussistenza agricola e di pastorizia. Preoccupante, in tale quadro, il degrado del bacino del lago Ciad, che dal 1960 ad oggi ha perso il 90% della propria superficie, passando da 25.000 Kmq agli attuali 2.500.
Le due principali voci di produzione agricola sono il cotone e il bestiame (carne, ma anche cuoio e pellami). Oltre al cotone, la produzione agricola è costituita da miglio, sorgo, riso, granturco manioca ed arachidi, zucchero e gomma arabica. L’agricoltura risente del quadro ambientale ostile: all’insufficienza delle precipitazioni (il 60% del territorio si trova in zona sahariana, dove la pioggia è quasi assente) si aggiungono le invasioni di cavallette ed un costante abbandono dei raccolti in favore del più remunerativo cotone. L’allevamento di bovini, pecore, capre, cammelli e cavalli dà lavoro al 40% della popolazione attiva.
L’estrazione petrolifera, iniziata nel 2003, sta rapidamente cambiando la fisionomia economica del paese, attraverso lo sfruttamento dei giacimenti della regione di Doba ad opera di un consorzio di imprese USA, francesi e cinesi, i tre principali “clienti” del Ciad. La produzione è stata agevolata, dal giugno 2003, con l’entrata in funzione dell’oleodotto Ciad-Camerun lungo 1.070 km, di cui 865 in territorio camerunese.
L’alto costo dei mezzi tecnici di produzione e la mancanza di sbocchi al mare non giocano a favore dello sviluppo dell’industria, che comprende, oltre al settore petrolifero e tessile, fabbriche per l’inscatolamento di carne e per la produzione di birra, sodio carbonato, sapone, sigarette e materiali da costruzione. Il Paese è incapace di produrre elettricità sufficiente per soddisfare i propri bisogni industriali.
Il Ciad è formalmente aperto agli investimenti esteri, che tuttavia non sono favoriti dalla corruzione nell’Amministrazione pubblica e dalla inefficienza del sistema giudiziario e dalla eccessiva burocrazia. Per tali ragioni, la classifica stilata dalla Banca Mondiale (Doing Business Report 2013), annovera il Ciad tra i Paesi in assoluto più difficili, in 184° posizione (su 185 Paesi).
L’interscambio commerciale è molto contenuto. L’Italia registra un ampio surplus nella bilancia commerciale con il Ciad, con un export nel 2011 pari a 17,2 milioni di Euro ed un volume di importazioni di 3 milioni. Il nostro Paese importa cotone, cuioio e pelli, mentre esporta macchine generatrici; macchine ed apparecchi industriali; attrezzature per le telecomunicazioni; autoveicoli; strumenti professionali; costruzioni prefabbricate; prodotti chimici. L’Italia è il 5° fornitore del Ciad, dopo Francia, Camerun, Cina e USA (fonte: ICE su dati del Direction of Trade Statistics – DOTS del FMI).
Negli investimenti diretti in Ciad, la presenza italiana è per ora limitata a poche imprese, tutte basate a Nd’jamena e operanti in ambito edilizio. Ultima arrivata in ordine di tempo, a dicembre 2012, Finasi Srl di Milano, è stata la vincitrice dell’appalto per la costruzione di una fabbrica di medicinali a N’djamena i cui lavori sono iniziati il 22 dicembre 2012.
Tra Italia e Ciad è in vigore un Accordo sulla promozione e la reciproca protezione degli investimenti (Roma, 11 giugno 1969). Interessanti opportunità potrebbero emergere oltre che nel settore petrolifero, nell’ammodernamento infrastrutturale del paese (appalti governatici per la rete stradale e per il rafforzamento dei servizi urbani specie quelli idrici nelle principali città).